L’opera, concepita in pendant con un altro dipinto raffigurante “Ester e Assuero” proviene dal Convitto Ecclesiastico ed è stato realizzato da Anton Maria Vassallo (Genova, 1615 circa-Milano, 1657 circa). Figlio di setaioli benestanti, Anton Maria inizia il suo apprendistato nella bottega del fiammingo Vincenzo Malò per poi collaborare con Gio. Domenico Cappellino. Alle poche opere attribuitegli dal Soprani ne sono state aggiunte molte altre, grazie agli studi sulla sua opera pittorica, caratterizzata da soggetti sacri, nature morte, soggetti profani e ritratti, connotati da un gusto per una cromia pastosa che rimanda a Rubens.
Il dipinto raffigura il ritrovamento del piccolo Mosè, messo dalla madre in una cesta e affidato al Nilo per salvarlo dall’ordine dato dal faraone di uccidere i figli maschi degli Ebrei, per impedirne la crescita come popolo. Trovato dalla figlia del Faraone, viene da lei allevato a corte e, senza conoscerne l’identità, affidato alla madre Iochebed per essere svezzato.
I temi legati all’infanzia di Mosè hanno goduto di grande fortuna nel XVII secolo, in primo luogo perché in essi si scorgeva la prefigurazione di temi cristologici, poi raccontati nel Vangelo. Ad esempio, nella vicenda avventurosa del ritrovamento del piccolo Mosè da parte della figlia del faraone, si leggeva la prefigurazione della Fuga in Egitto della Sacra Famiglia, nella quale Gesù scappa da Erode. Su questo primo significato se ne sono inseriti altri, che interpretavano il ritrovamento di Mosè come il simbolo del trionfo dell’uomo sulle avversità che lo minacciano oppure, secondo un’interpretazione “politica” del personaggio biblico, Mosè è visto come un leader che conduce il suo popolo alla salvezza dopo aver superato ardue traversie.