Il trittico fu eseguito da Pietro Francesco Sacchi alla fine del secondo decennio del Cinquecento (verso il 1518) perché fosse collocato sull’altare maggiore della Chiesa per l’Ospedale di San Lazzaro. La piccola chiesa, fondata probabilmente nel XV secolo, sorgeva a livello del mare, alla foce del rio Promontorio, annessa ad un ospedale destinato ad ospitare le persone colpite da malattie infettive, come la lebbra. La chiesa fu demolita nel 1859 per la costruzione della ferrovia ed è tuttora ricordata da una galleria che porta l’intitolazione a San Lazzaro: le opere d’arte che vi erano conservate – tra cui il trittico – confluirono nella quadreria dell’Albergo dei Poveri.
Il trittico è costituito da più scomparti: in quello centrale è raffigurata la Madonna con Bambino; a sinistra San Lazzaro vescovo e a destra San Lazzaro lebbroso. Nella cimasa troviamo al centro la Crocifissione (ai piedi della croce la Vergine, San Giovanni Battista e la Maddalena), e ai lati le figure dell’Annunciazione.
La predella, in cui sono raffigurati due angeli inginocchiati, è stata aggiunta durante il restauro del 1851 a cui fu sottoposto il complesso, a seguito del suo trasferimento presso l’Albergo dei Poveri, come ricorda l’iscrizione posta al centro della predella stessa. Nel corso di questo intervento andò probabilmente perduta la cornice antica intagliata e dorata, sostituita da una carpenteria in stile che tuttavia include alcune parti dei legni originali, poi ridorate e riadattate al nuovo inquadramento.
L’opera, benché priva di firma e data, è unanimemente attribuita a Pietro Francesco Sacchi, maestro pavese influenzato dalla pittura di Ambrogio da Fossano detto il Bergognone e soprattutto molto attento alle suggestioni figurative che provenivano dai contemporanei dipinti fiamminghi.
Infatti è stato messo in luce come il paesaggio derivi da modelli tratti dal pittore di Anversa Joos Van Cleve che in quegli anni era presente a Genova per realizzare importanti dipinti per le chiese cittadine.
Il dipinto mostra una materia pittorica molto compatta, soprattutto nelle vesti e più morbida e sfumata negli incarnati, in particolare in quelli della Madonna e del Bambino. A seguito di un’indagine svolta con la riflettografia ad infrarossi, si è potuto leggere il disegno sottostante, caratterizzato da figure delineate a mano libera con grande energia e connotate da un tratteggio diagonale per segnare preventivamente le parti in ombra. E’ stato possibile notare anche alcuni pentimenti durante la realizzazione del dipinto, in particolare per la figura di San Lazzaro vescovo.
Per quanto riguarda l’iconografia, i personaggi di San Lazzaro Vescovo e di San Lazzaro Lebbroso sono avvolti nella leggenda. Infatti il primo è identificato con Lazzaro di Betania, fratello di Marta e Maria, che Gesù aveva risuscitato dalla morte. Secondo un’antica tradizione orientale, Lazzaro sarebbe poi diventato vescovo e martire a Cipro. Un’altra versione, del tutto leggendaria, lo ritiene giunto in Provenza insieme alle sorelle, per poi diventare vescovo di Marsiglia e martire al tempo di Nerone.
La figura di Lazzaro lebbroso trae origine dalla parabola di Lazzaro e il ricco Epulone (Luca 16, 19-31): nel Medioevo il personaggio del povero mendicante sarebbe poi stato ritenuto storicamente esistito, fino a giungere quindi alla sua canonizzazione. Lazzaro divenne il patrono dei lebbrosi e dei mendicanti.